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Territorio

La storia di San Ferdinando racchiusa nel museo civico

Oggetti che testimoniano il passato. Fatica e risorse per i giovani

Un contenitore culturale al centro della città. Altro che roba da rigattiere, nel museo civico di piazza Giovanni Paolo Il è racchiusa tutta la storia di San Ferdinando di Puglia. Oggetti che testimoniano di quando la casa era solo un monocale e gli unici beni che si possedevano erano un letto col vaso da notte, il candero dicono queste parti, un bracere, un tavolo con piatti, che non andavano mai buttati, e posate, oggetti per il culto come le campane coi santi, e degli armadi che riuscivano a racchiudere l'indispensabile per una famiglia. Tutto questo se si pensa che le famiglie fra '800 e '900 erano numerose e l'acqua potabile poteva essere attinta solo dal pozzo in piazza Umberto I, dov'è presente ancora oggi vicino la torre dell'orologio, mentre il pozzo che ciascuna abitazione aveva, era destinato al bestiame. Questo per evitare che i sanferdinandesi bevessero acqua inquinata perché all'epoca non c'era ancora la rete fognaria. La stalla era confinante o addirittura comunicante con l'abitazione e basta visitare il museo per osservare gli strumenti utilizzati a San Ferdinando per arare i campi o curare il bestiame: aratro, carro, lanterne, frustini, forche, zappe.

Insomma, un viaggio nel tempo alla scoperta di San Ferdinando prima ancora che assumesse il nome del Re santo, Ferdinando III, e di quando le strutture in muratura erano solo dei notabili, mentre i contadini dovevano vivere a debita distanza nei pagliai, costruzioni in paglia e legno, costruiti lungo la strada parallela a via Roma dai primi coloni provenienti da Margherita di Savoia, i quali ricevevano come incentivi statale, decretato da Re Ferdinando II, 25 ducati, poi scesi a 10,350 perché ritenuti troppi. Ci sono voluti 2 incendi per convincere il Re a far costruire per tutti case in muratura. Il grande ingegno del passato ha permesso ai contadini, anche per obblighi notarili, di costruire dei rifugi simili ai trulli, utilizzando solo pietre incastrate, provenienti da uno strato roccioso del terreno che doveva per forza essere rotto per piantare ulivi e vigne.

Gli edifici scolastici a San Ferdinando sorgono negli anni '60. Prima le lezioni per i più poveri venivano svolte all'aperto o in casa dei maestri, per i più ricchi, invece, c'era il convitto tenuto dagli ecclesiastici. Lavagna in ardesia, cattedra rialzata in segno di supremazia del docente, penne, calamai e boccette di inchiostro, banchi, armadio con appendi abiti, nel museo di San Ferdinando c'è una vera classe di scuola elementare con una cartina dell'Italia di quasi 2 secoli fa con i confini confini diversi rispetto a quelli attuali, le cartelle di stoffa rattoppate e riparate con una corda e i cestini per la merenda e pagelle scolastiche risalenti agli anni '20, quindi al Fascismo. Tutto ha avuto origine dal passato se si pensa ai primi sedioloni, col buco per l'orinatoio e il girello come base componibile, e alle culle in legno, senza dimenticare la ferula, cioè un arbusto che fatto asciugare, diventava tanto duro da bacchettare gli alunni e veniva utilizzato anche dai commercianti che avevano un credito con un cliente, tagliando in due la pianta e segnandola con 2 tacchette corrispondenti: una parte restava al commerciante creditore e l'altra andava all'acquirente debitore. I mestieri del tempo rappresentano il culmine dell'ingegno: il fabbro con incudine e tenaglie aggiustava e creava tutto ciò che riguardasse il ferro, il bottaio che creava le botti, passando il legno su una grande pialla e con un processo di alto artigianato, il falegname con seghe e pialle oggi non più utilizzate e con le quali creava anche cornici e oggetti di precisione, senza dimenticare l'artigiano che con un trapano fatto a mano riparava le zuppiere, facendo dei fori e applicando dall'esterno delle graffette in ferro che non dovevano entrare in contatto col cibo.

Lungo le strade passava il ciabattino, conzascàrpe lo chiamano i più grandi, che bussava alle porte in cerca di scarpe che riparava seduto sul marciapiede e accettava in cambio anche vino e olio. Sono proprio vino e olio la base della cultura e del commercio di San Ferdinando a quei tempi, tanto da trovare nel museo le vecchie vasche in pietra in cui col torchio e i fiscoli, dischi di vimini, venivano pressare le olive e il macchinario utilizzato per spremere gli acini con una manovella. Storie di ieri sono sempre attuali grazie a chi, come Savino Defacentis, ha fondato l'Archeoclub nel 1981 e ha recuperato tutti questi oggetti di inestimabile valore, portando alla luce, per esempio, la prima fotocopiatrice, cioè uno stampo a mano che imprimeva le lettere da un foglio all'altro e una natività artigianale con vasi, macinini e valigie di legno e cartone.
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